
Che cos’è un FONT?
Se vi chiedessero qual è la differenza tra font e carattere, pochi saprebbero rispondere o comunque, i più si chiederebbero: “perché, c’è differenza?”. In effetti, ormai, nell’uso comune le parole font e carattere vengono considerate sinonimi.
Ma una differenza c’è, e neanche troppo sottile: il carattere è la singola lettera, il singolo numero o il singolo segno di interpunzione, invece per font «si intendono tutti i caratteri disponibili in certe dimensioni, stile e peso di una particolare foggia» (Microsoft Press Computer Dictionary, 1994), ovvero «l’insieme di caratteri contraddistinti da una particolare grafia o disegno (Times, Helvetica, ecc.), stile (corsivo, grassetto, ecc.), dimensione.» (Accademia della Crusca, 2015).
E non finisce qui! Il carattere, a sua volta, è composto da diversi glifi (maiuscolo, minuscolo, grassetto, corsivo ecc.) in cui può declinarsi. Carattere e glifo, quindi, formano il typeface (o carattere tipografico). In inglese, la distinzione tra font e typeface è molto chiara, mente in italiano la parola typeface è spesso tradotta impropriamente con “font”.
In questo articolo ci occuperemo proprio di font. Ne esamineremo le caratteristiche e vedremo quali evoluzioni interessanti ha subito nel tempo.
Innanzitutto distinguiamo i font in base a due macro-categorie, a seconda cioè, del tipo di carattere tipografico e in base alle sue varianti.
Abbiamo, infatti, font a caratteri serif (dal francese “con grazie”) e font a caratteri sans-serif (“senza grazie”, detti anche “bastoni” o semplicemente “sans”).
I serif derivano dalla scrittura calligrafica manuale e sono caratterizzati da quei piccoli prolungamenti alle estremità delle aste che li rendono più eleganti. “Aggraziati”, appunto. I serif sono a loro volta raggruppati in quattro grandi catedorie: gli Old Style, i Transizionali, i Bodoni e gli Egiziani e sono i più utilizzati per la stampa su carta e quindi per libri, quotidiani e riviste, perché il flusso morbido di questi caratteri in successione rende più agevole la lettura di testi piuttosto lunghi.
I sans-serif, invece, nati nel corso dell’Ottocento e raggruppati in Grotesque, Neo-Grotesque, Umanist e Geometric, sono semplici e lineari e hanno le estremità delle lettere diritte, senza appendici. Sono utilizzati soprattutto nella pubblicità, in libri per bambini e videoscrittura, perché risultano più leggibili e chiari rispetto ai serif.
Se parliamo di varianti dei font, invece, facciamo riferimento a:
- versioni “normali”, generalmente chiamate Roman o Regular;
- varianti di peso, cioè lo spessore del carattere, dalle più sottili (Light, Thin, Extra-Light, ecc.) a quelle più spesse (Bold, Black, Extra-Bold, Ultra, ecc.);
- obliquo, o oblique, la variante inclinata, senza alcuna modifica estetica e funzionale, del font normale.
- corsivo, o italic, diverso dall’obliquo, perché è un font a sé, progettato proprio con scelte ottiche ed estetiche diverse. Anche i font corsivi hanno le loro varianti di peso.
- versioni compresse (Condensed) e allargate (Extended). Anche qui, si tratta proprio di un diverso font, progettato perché sia più largo o più stretto.
Un po’ di storia
La parola font viene dal francese medievale fonte (fuso), ed è strettamente legato all’invenzione della macchina di Gutenberg del 1455, che stampava i caratteri mobili con la fusione del metallo.
Nel 1500 nacque però il primo font moderno: il Garamond. Disegnato dal tipografo francese Claude Garamond, nel 1958 fu modificato dal tipografo bolognese Francesco Simoncini, diventando così l’attuale Simoncini Garamond. Il Garamond è utilizzato ancora oggi dalla maggior parte delle case editrici italiane, la Einaudi su tutte.
Nel corso degli anni, poi, si è affermata sempre di più la distinzione tra serif e sans-serif, tanto che si sono imposti nei processi di stampa nuovi font ‘bastoni’, come l’Arial, l’Helvetica, il Verdana e il Futura, caratterizzati dalle linee delle lettere tutte dello stesso spessore.
Per accompagnare il Garamond nella categoria dei serif, invece, il tipografo inglese John Baskerville inventò, nel 1700, il font Baskerville, impiegato oggi dalla casa editrice Adelphi. I caratteri di questo font, poi, sono stati utilizzati nel 1800 per le Monotype e Linotype, le prime macchine tipografiche a composizione automatica di caratteri, in cui a ogni tasto-leva corrispondeva una lettera.
Oggi, invece, i serif più utilizzati sono il Times New Roman, il Georgia, il Didot e il Bodoni.
Nel 1980 si è cominciato a stampare i testi con il fotocompositore, un macchinario che fissava su pellicola o carta fotografica i caratteri e di qui li trasferiva su matrici che, dopo l’incisione, venivano utilizzate per la stampa. Questo, fino alla nascita dei computer con caratteri digitali. Questi utilizzavano programmi di impaginazione come Pagemaker, con cui era possibile vedere il testo su schermo, prima di stamparlo. L’Arial è da allora il font utilizzato da Microsoft, come interfaccia grafica, mentre l’Helvetica è il font della Mac.
Oggi molti font moderni vengono creati dai serif e sans-serif, a seconda delle esigenze di comunicazione.
Perché utilizzare un font e non un altro?
Tutto dipende dalle esigenze di comunicazione. Fattori importanti per l’utilizzo di un font sono la leggibilità, la chiarezza e l’impatto immediato che deve avere nel comunicare un messaggio ai lettori.
Ad esempio, grandi aziende come Nike, Adidas, YouTube, Coca Cola, Instagram, ecc. si ispirano per lo più al vecchio Garamond, ma in genere i loro font sono inventati dalle stesse aziende che ne detengono, quindi, i diritti. Oggi, per l’utilizzo a fini commerciali della maggior parte dei font (che di fatto sono file o software da scaricare), bisogna acquistarne la licenza, che spesso è molto costosa Non è raro, però, trovare su Internet file piratati di font, che eludono le licenze.